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From Double to Electric

Durante il periodo finale del mio percorso di studi al Triennio Jazz del Conservatorio di Piacenza sono stato particolarmente affascinato dal periodo musicale in cui fa la sua apparizione sulla scena il Basso Elettrico.
Uno strumento nuovo e che inizialmente generò reazioni contrastanti nella comunità dei musicisti, arrivando ad essere da alcuni dileggiato ed osteggiato come un bizzarro giocattolo ibrido.

La nascita del basso elettrico può essere individuata nel 1951, anno in cui vede la luce uno strumento strutturalmente molto semplice ma rivoluzionario ad opera di Leo Fender: il Precision Bass.
Il suo esordio giunge in un contesto in cui il contrabbasso è il detentore pressoché universale del ruolo di sostegno ritmico/armonico di una vastissima gamma di ensemble musicali nei generi più disparati tra cui ovviamente il jazz.

Il cammino per giungere al basso elettrico moderno

Prima di allora ci furono numerosi tentativi ed esperimenti per rendere possibile l’amplificazione del contrabbasso come lo strumento Upright di Loar, il puntale Ampeg, il pickup De Armond.
Lo scopo era quello di agevolare gli strumentisti che facevano notevole fatica a farsi udire, soprattutto in contesti di big band o rispetto ad altri strumenti che acusticamente potevano vantare una emissione sonora più imponente.

Pickup De Armond
Schema puntale
Puntale Ampeg

Circa 15 anni prima della comparsa del Precision Bass di Fender, il musicista e inventore Paul Tutmarc di Seattle, stato di Washington, sviluppò il primo basso elettrico nella sua forma moderna, uno strumento con i tasti progettato per essere suonato orizzontalmente.
Il catalogo pubblicitario del 1936 della compagnia Tutmarc – Audiovox presentava il suo Model 736 BassFiddle, un basso elettrico corposo con quattro corde, una lunghezza di 30 1/2 1/2 pollici (775 millimetri) e un singolo pickup. Ne furono realizzate circa 100 unità.
Audiovox commercializzò anche il suo amplificatore per basso Modello 236.

Circa 15 anni prima della comparsa del Precision Bass di Fender, il musicista e inventore Paul Tutmarc di Seattle, stato di Washington, sviluppò il primo basso elettrico nella sua forma moderna, uno strumento con i tasti progettato per essere suonato orizzontalmente.
Il catalogo pubblicitario del 1936 della compagnia Tutmarc – Audiovox presentava il suo Model 736 BassFiddle, un basso elettrico corposo con quattro corde, una lunghezza di 30 1/2 1/2 pollici (775 millimetri) e un singolo pickup. Ne furono realizzate circa 100 unità.
Audiovox commercializzò anche il suo amplificatore per basso Modello 236.

Audiovox – Model 736 BassFiddle
Audiovox Catalog – 1936

Ma quasi tutte queste esperienze si rivelarono poco efficienti e solo il nuovo strumento di Leo Fender sembrò creare la giusta alchimia ed offrire una risposta efficace a queste esigenze diffuse, supportato da sistemi di amplificazione sempre più affidabili e potenti a cui accompagnarsi.

Inoltre offriva al musicista una serie di ulteriori vantaggi quali trasportabilità, assenza di rientri di suono indesiderati (essendo a corpo solido senza cassa acustica) e facilità di intonazione precisa delle note, grazie alla presenza dei capotasti mutuati dalla chitarra elettrica da cui è derivato.
Questa stretta parentela con la cugina elettrica rendeva però estremamente diffidenti i contrabbassisti che erano riluttanti a provarlo ed adottarlo, arrivando in alcuni casi a denigrarlo ed osteggiarne la diffusione.

Basso, Chitarristi & Studio Sessions

Se molti contrabbassisti storcevano il naso alla vista del neonato basso elettrico, di contro questo venne salutato con estremo interesse e curiosità da parte dei chitarristi turnisti, che in quel periodo di estremo fermento della produzione discografica e musicale, si trovarono a dover gestire una grande mole di lavoro e nuove prospettive.

Le molteplici sessioni di registrazione avvenivano freneticamente negli studi, con tempi serratissimi e spesso i chitarristi si trovarono a dover registrare anche le parti di basso per contenere il costo della produzione e per velocità di realizzazione.

ll Precision Bass, che stigmatizza nel suo nome proprio la caratteristica di facile intonazione, rese possibile a questi chitarristi cimentarsi agevolmente nel duplice ruolo richiesto, suonando sia la parte di chitarra che la linea di accompagnamento al basso.

Un fulgido esempio è Carol Kaye che oltre a suonare la chitarra in molte registrazione (ad esempio la Bamba di Ritchie Valens) è diventata nota per le sue linee di basso presenti in moltissimi dischi di grande successo mondiale.

Durante la sua cinquantennale carriera ha effettuato più di 10 mila registrazioni alcune delle quali sono divenute delle vere pietre miliari che hanno contribuito a forgiare la voce distintiva del basso elettrico .

Carol Kaye durante una sessione di registrazione con il basso.
James Jamerson – “The Hook”

Altrettanto importante fu l’apporto di un altro grande session man, James Jamerson.

Diplomato in contrabbasso, dopo l’avvio di carriera in cui si fa notare suonando nei Club di Detroit, inizia a collaborare con la casa discografica Motown dove poi passa all’utilizzo esclusivo del basso elettrico, segnando la storia di questo strumento nella musica Pop / Rhythm & Blues / Funk grazie al suo apporto in brani di Stevie Wonder, Diana Ross, The Temptations, Marvin Gaye, The Jackson 5, The Four Tops, The Supremes, solo per citarne alcuni.

Le sue linee particolarmente distintive e marcate arricchirono enormemente i brani, in una maniera così peculiare da avere decisamente contribuito alla creazione di quel sound e quel groove unici, riconoscibili al primo ascolto in quei classici intramontabili, ancora oggi usati per colonne sonore e jingles pubbilicitari.

Il suo modo caratteristico di suonare il basso, usando solo un il dito indice della mano destra ed appoggiandosi al copri-pickup del Precision Bass, gli procurò il soprannome di The Hook, l’uncino.